Accanto alle varie decisioni, tutto sommato condivisibili, intraprese dal governo in materia di immigrati, ve ne è una invece estremamente pericolosa: dare il diritto di voto a persone che non hanno la cittadinanza italiana.
Tale scelta viola il principio fondamentale della corrispondenza tra chi decide e chi ha la responsabilità delle azioni. Votare per le amministrative significa scegliere un sindaco e una giunta; se questa amministrazione fa qualcosa di dannoso o non fa qualcosa di utile, il danno ricade sui cittadini che rimangono e non sull'immigrato che nel frattempo magari se ne è andato; chi non è cittadino italiano non ha legami, è libero di andarsene in qualunque momento: come si fa a chiedergli conto di una decisione sbagliata?
Nelle città dove è presente una forte immigrazione la percentuale di persone di passaggio è molto alta e può influenzare notevolmente la votazione; è vero che il diritto di voto è esercitabile solo dopo un certo numero di anni, ma perchè a quel punto non consentirlo solo a chi ha la cittadinanza? Avere la cittadinanza significa un impegno ben preciso da parte dell'immigrato verso l'Italia: significa voglio vivere come voi.
E' come se in una azienda le decisioni sul futuro potessero essere prese non solo dall'assemblea dei soci (cioè chi ci ha investito), ma anche dai dipendenti; ammesso che la retribuzione di questi ultimi sia congrua con il lavoro che fanno, si mette sullo stesso piano chi ha messo dei soldi e spera di ricavare dei frutti nel futuro (ed è quindi legato all'azienda) e chi i soldi li sta già prendendo ed è libero di andarsene in qualunque momento.
Dove sarebbe a questo punto il vantaggio, l'onore, il privilegio o l'orgoglio (ognuno scelga cosa preferisce) di essere italiani se chiunque passa, rimane qualche anno a lavorare e poi se ne va ha lo stesso "valore" di chi è nato e vissuto in Italia o comunque ha scelto esplicitamente di viverci?
Anche se si è limitato il diritto alle amministrative non si vede perchè in futuro tale diritto non possa essere esteso a livello provinciale o regionale; non c'è infatti una ragione logica ed evidente per mantenere tale limite a livello comunale.
Stiamo qundi dando diritti agli immigrati senza chiedere loro nulla in cambio, solo una speranza che in futuro questo sia sufficiente per spingerli ad integrarsi e comportarsi bene; e perchè mai dovrebbero essere spinti a farlo? Dare il diritto di voto non trasforma un immigrato in un integrato.
L'approccio dovrebbe essere contrario: prima devono dimostrare di essersi inseriti, di avere imparato la lingua, condividere i principi fondamentali e poi possono avere l'onore di votare ed essere cittadini italiani; perchè è questo il concetto: la cittadinanza deve essere un onore.
Non lamentiamoci poi se sta scomparendo l'orgoglio di essere italiani, orgoglio che dovrebbe essere la spinta per andare tutti dalla stessa parte, per fare "squadra"? Destra e sinistra fanno a gara per martoriare questo sentimento. Grazie a Tremaglia non era più neanche chiaro che cosa volesse dire essere italiani: veniva data la cittadinanza ai figli di emigrati fino alla terza generazione, persone che probabilmente non parlano neanche l'italiano e dell'Italia non sanno nulla. Ora chi non è cittadino dovrebbe avere gli stessi diritti di chi lo è.
Questo senza nulla togliere all'onestà, alla voglia di lavorare e alla correttezza di tanti immigrati che sarebbe un onore avere come cittadini, molto più di tanti italiani veraci.